1.DEPRESSIONE
La depressione è un disturbo molto diffuso. Ne soffrono infatti circa 15 persone su 100. Le statistiche ci dicono che in un gruppo di 6 persone almeno una persona soffrirà di depressione nella sua vita.
Tutti quanti abbiamo l’esperienza di una giornata storta, in cui siamo giù di corda, tristi, più irritabili del solito e “ci sentiamo un po’ depressi”. Molto probabilmente non si tratta di un disturbo depressivo, ma di un calo d’umore passeggero. La depressione clinica invece presenta molti altri sintomi e si prolunga nel tempo. Per andare via richiede un trattamento psicologico e/o farmacologico. Chi ne soffre ha un umore depresso per tutta la giornata per più giorni di seguito e non riesce più a provare interesse e piacere nelle attività che prima lo interessavano e lo facevano stare bene. Si sente sempre giù e/o irritabile, si sente stanco, ha pensieri negativi, e spesso sente la vita come dolorosa e senza senso (“dolore del vivere”).
In generale, chi ha la depressione clinica può soffrire quotidianamente dei seguenti sintomi:
- umore depresso;
- perdita di piacere e di interesse per quasi tutte le attività;
- mancanza di energie, affaticamento, stanchezza;
- aumento o diminuzione significative dell’appetito e quindi del peso corporeo;
- disturbi del sonno (dorme di più o di meno o si sveglia spesso durante la notte);
- rallentamento o agitazione;
- difficoltà a concentrarsi;
- sensazione di essere inutile, negativo o continuamente colpevole;
- pensieri di morte o di suicidio.
Può essere che i sintomi si presentino improvvisamente in modo acuto in persone che generalmente hanno una personalità “ottimista e allegra” o siano costanti nel tempo ma più leggeri, con alcuni momenti o periodi di peggioramento. Naturalmente è raro che una persona depressa abbia contemporaneamente tutti i sintomi riportati nell’elenco, ma se soffre quotidianamente dei primi due sintomi nell’elenco e di almeno altri tre è molto probabile che abbia un disturbo depressivo.
I parenti e gli amici della persona depressa, animati da buone intenzioni, possono cercare di spronarla invitandola a sforzarsi di reagire, senza rendersi conto che questo aumenta il suo senso di colpa e la sua autosvalutazione. L’atteggiamento più utile è aiutare la persona depressa ad intraprendere un percorso di cura fatto di un’adeguata terapia farmacologica e una psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Il disturbo depressivo può colpire chiunque a qualunque età, ma è più frequente tra i 25 e i 44 anni di età ed è due volte più comune nelle donne adolescenti e adulte, mentre le bambine e i bambini sembrano soffrirne in egual misura.
Le cause della malattia sono molteplici e diverse da persona a persona (ereditarietà, ambiente sociale, lutti familiari, problemi di lavoro, relazionali, etc.). Le ricerche hanno scoperto due cause principali: il fattore biologico, per cui alcuni hanno una maggiore predisposizione genetica verso questa malattia; e il fattore psicologico, per cui le nostre esperienze (particolarmente quelle infantili) possono portare ad una maggiore vulnerabilità acquisita alla malattia. La vulnerabilità biologica e quella psicologica interagiscono tra di loro e non necessariamente portano allo sviluppo del disturbo. Una persona vulnerabile può non ammalarsi mai di depressione, se non capita qualcosa in grado di scatenare il disturbo e se ha relazioni buone e supportive. Il fattore scatenante è spesso qualche evento stressante o qualche tensione importante che turba la nostra vita. Ma spesso è difficile capire cosa ha scatenato la nostra depressione, soprattutto se non è la prima volta che ne soffriamo.
Il disturbo depressivo può portare a gravi compromissioni nella vita di chi ne soffre. Non si riesce più a lavorare o a studiare, a iniziare e mantenere relazioni sociali e affettive, a provare piacere e interesse nelle attività. 15 persone su 100 che soffrono di depressione clinica grave muoiono per suicidio.
Il disturbo depressivo si associa spesso ad altri disturbi psicologici (disturbo di panico, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo da uso di sostanze e alcol, anoressia nervosa, e bulimia, disturbi di personalità, etc.). 25 persone su 100 che soffrono di un disturbo organico, come il diabete, la cardiopatia, l’HIV, l’invalidità corporea fino ad arrivare ai casi di malattie terminali, si ammalano anche di depressione. Purtroppo la depressione può portare ad un aggravamento ulteriore, dato che quando si è depressi si ha difficoltà a collaborare nella cura, dal momento che ci si sente affaticati, con difficoltà a concentrarsi, senso di impotenza, scarsa fiducia di migliorare, passività, e così via. Inoltre, la depressione può complicare la cura anche per le conseguenze negative che può avere sul sistema immunitario e sulla già compromessa qualità di vita di chi soffre. E’ necessario dunque curare non solo il disturbo organico ma anche quello depressivo.
Nella maggior parte dei casi la guarigione da un episodio depressivo è seguita da diverse ricadute. Chi si ammala di depressione può facilmente soffrirne più volte nell’arco della vita. La depressione è infatti un disturbo ricorrente e sono rari i casi di episodi singoli nell’arco della vita. Sebbene i farmaci siano molto efficaci nel ridurre i sintomi acuti, non lo sono altrettanto nel risolvere la vulnerabilità alla ricaduta e nella maggior parte dei casi la loro interruzione porta al riacutizzarsi della sintomatologia e alla ricorrenza. La sola cura farmacologica inoltre può essere ostacolata dalla non collaborazione alla cura e disaccordo con la prescrizione medica. La combinazione tra un’adeguata farmacoterapia e la psicoterapia cognitivo-comportamentale aumenta significativamente il tasso di successi, sia nella cura dei sintomi acuti che della ricorrenza.
Il trattamento
La terapia cognitivo-comportamentale si è mostrata efficace per il trattamento della depressione in moltissimi studi controllati.
Applicata alla depressione sin dagli anni ’70, la terapia cognitivo-comportamentale assume che la depressione è mantenuta da come la persona guarda al mondo, agli altri, a sé e al futuro e dal suo comportamento passivo. La persona che soffre di depressione infatti ha continui pensieri negativi ed è molto critica verso se stessa, accusandosi continuamente oltre ogni evidenza e notando maggiormente gli eventi negativi. Guarda al mondo negativamente ed è molto pessimista per il proprio futuro. Per capire come può stare chi soffre di depressione, immaginiamo di avere alle costole qualcuno che ci sussurra continuamente nell’orecchio: “non vali nulla”, “sei un fallimento”, “come può volerti bene?”, “rimarrai solo”, e così via. La maggior parte di noi ne rimarrebbe schiacciata e tenderebbe a demotivarsi in qualsiasi cosa e a fare sempre di meno. Questa crescente passività diminuisce l’energia, aumenta la stanchezza depressiva e può essere valutata come ulteriore prova della propria negatività e del futuro nero.
La terapia cognitivo-comportamentale aiuta la persona a comprendere il funzionamento del suo disturbo depressivo e a rompere i circoli viziosi che lo mantengono, aiutandola a modificare i modi disfunzionali di pensare e di comportarsi, a riprendere gradatamente le attività cominciando da quelle più semplici e piacevoli e a recuperare le proprie relazioni sociali. L’aiuta ad identificare le difficoltà quotidiane, insegnandole, per esempio, modalità comunicative più efficaci e strategie di gestione dei problemi più utili.
La terapia cognitivo-comportamentale ha un doppio obiettivo: ridurre i tempi della guarigione e diminuire la possibilità di eventuali ricadute in futuro.
Alcuni recenti studi hanno dimostrato che la combinazione della terapia cognitivo-comportamentale con un adeguato trattamento farmacologico, somministrato sotto stretto controllo di un medico esperto, è tra le modalità più efficaci per curare la depressione.
2.DISTIMIA
La distimia è un disturbo depressivo cronico. Infatti per fare diagnosi di distimia i sintomi devono essere presenti da almeno due anni. Rispetto al disturbo depressivo maggiore, il disturbo distimico è caratterizzato da sintomi depressivi più attenuati e comporta una minore compromissione delle relazioni sociali e delle attività lavorative, ma è molto più persistente nel tempo.
I sintomi sono:
- insonnia o ipersonnia;
- scarso appetito o iperfagia;
- bassa autostima, sentimenti di insicurezza, inadeguatezza, inefficienza, autosvalutazione;
- difficoltà di concentrazione e di prendere decisioni;
- sconforto, tristezza, disperazione, pessimismo;
- affaticabilità e scarsa energia
Spesso questi sintomi non sono presenti tutti insieme. Possono essercene anche solo due.
La distimia può comparire sin dall’adolescenza. Si riscontra più frequentemente nella fascia di età che va dai 18 ai 45 anni e spesso sopraggiunge dopo uno o più episodi di depressione maggiore. Alla distimia possono associarsi altri disturbi: oltre alla depressione maggiore, si possono avere ansia, abuso di sostanze, disturbi alimentari, disturbi di personalità.
Per il suo carattere cronico e persistente, il riconoscimento e la diagnosi del disturbo distimico sono molto tardivi e chi ne soffre pensa che il suo malessere sia parte del suo carattere da sempre e che non ci si possa fare granché. Spesso anche i parenti e gli amici della persona distimica ritengono che sia un “inguaribile pessimista e insicuro”. In realtà la distimia è un disturbo che può essere efficacemente affrontato intraprendendo un percorso di cura fatto di un’adeguata terapia farmacologica e una psicoterapia cognitivo-comportamentale.
3.DISTURBO BIPOLARE
Il disturbo bipolare o maniaco-depressivo colpisce circa 1 persona su 100. Nonostante non sia molto diffuso, è una malattia seria e, se non trattata adeguatamente, può causare gravi sofferenze e risultare anche molto invalidante. E’ un disturbo caratterizzato da gravi alterazioni dell’umore, e quindi delle emozioni, dei pensieri e dei comportamenti. Chi ne soffre può essere al settimo cielo in un periodo e alla disperazione in un altro senza alcuna ragione apparente, passando dal paradiso della fase maniacale all’inferno della fase depressiva anche più volte durante la vita.
Durante le fasi maniacali la persona può presentare disinibizione eccessiva e in genere, comportamenti socialmente inappropriati. Si sente particolarmente euforica, con la sensazione di avere enormi potenzialità personali: tutto le appare possibile e fattibile, tanto che spesso commette azioni impulsive anche pericolose per se stessa o per gli altri o intraprende azioni avventate. Non riesce a portare a termine alcun progetto.
Il comportamento diventa disorganizzato e inconcludente, con azioni senza alcuna direzione apparente: non fa in tempo ad iniziare un’attività, che la lascia a metà per passare ad altro o fa più cose contemporaneamente senza completarne alcuna. Ha una grande energia, tanto da non sentire il bisogno di mangiare né dormire. I pensieri vanno così veloci che è difficile stargli dietro, così come le parole. Spesso i sensi sembrano affinarsi e la percezione diventa più vivida. Anche il desiderio sessuale può aumentare, diventando quasi impellente, con comportamenti impulsivi. Le persone che guardano l’individuo che soffre di maniacalità stentano a riconoscerlo: prima timido e riservato, ora non smette un attimo di parlare ed è sorprendentemente disinibito.
In molti casi, la fase maniacale è caratterizzata da umore disforico, con una sensazione di ingiustizia subita e quindi grande irritabilità, rabbiosità e intolleranza. Spesso queste sensazioni sono accompagnate da un comportamento aggressivo, con scarsa capacità di valutare le conseguenze delle proprie azioni.
Queste fasi di eccitazione possono essere più o meno severe (maniacali o ipomaniacali).In tutti i casi possono comportare gravi danni, perché chi ne soffre con il suo comportamento può rovinarsi relazioni importanti, spendere tutti i suoi risparmi in qualcosa che gli sembra un ottimo affare e poi si rivela un fallimento o in qualcosa che gli appare in quel momento assolutamente indispensabile, o fare incidenti stradali per l’alta velocità o per essere passato con il rosso. E così via.
Quando l’eccitazione e l’energia aumentano molto si possono sviluppare deliri di grandezza o “paranoia”: cose banali acquistano per l’individuo un’importanza straordinaria e un doppio senso. Tutto è riferito a lui: la radio e la TV parlano di lui, ovunque ci sono inseguimenti, spie e complotti. Raramente arriva a sentire anche delle voci.
Le fasi depressive seguono spesso quelle maniacali e sono completamente all’opposto. L’umore è molto basso, con la sensazione che nulla interessi né possa dare piacere. Si perde il significato della vita, che appare profondamente dolorosa. Il sonno e l’appetito possono aumentare o diminuire. Ci si sente senza energie e facilmente affaticati, con una grande difficoltà nel concentrarsi. Le fasi depressive possono risultare talmente gravi da portare al suicidio o ad atti autolesionistici.
Le fasi depressive solitamente durano di più di quelle maniacali, che possono durare anche solo pochi giorni. Spesso le fasi depressive sono anche più frequenti. A volte da una fase si passa immediatamente all’altra, altre volte intercorre un periodo di umore normale. Di solito una fase insorge gradualmente, ma a volte l’insorgenza è più improvvisa.
L’abuso di alcol o droga si associa frequentemente al disturbo bipolare e lo può peggiorare gravemente.
Le ricerche dicono che 1 persona su 100 può soffrire di disturbo bipolare, con la stessa probabilità per gli uomini e le donne. Di solito il primo episodio del disturbo si sviluppa nella tarda adolescenza o nella prima età adulta, per poi aversi più o meno frequentemente per tutta la vita.
La diagnosi di mania si può porre se si ha un periodo (4 giorni o una settimana), di anormale e persistente elevazione del tono dell’umore, con caratteristiche di espansività o irritabilità e con la compromissione delle attività di studio, di lavoro, delle relazioni o gravi danni per sé o per gli altri. I sintomi che possono essere presenti sono:
- aumento dell’autostima e grandiosità;
- ridotto bisogno di sonno;
- aumentata loquacità con difficoltà a frenarla;
- volubilità e continui cambiamenti nelle opinioni;
- facile distraibilità e tendenza a porre attenzione a particolari insignificanti ignorando elementi importanti;
- aumento delle attività;
- agitazione mentale o fisica;
aumentato coinvolgimento in attività che possono avere conseguenze pericolose, come per es. spendere molto denaro o intraprendere attività sessuali inusuali per la persona.
La diagnosi di depressione si può porre se si ha un periodo di almeno due settimane con quotidiano umore basso e perdita di interesse e di piacere in tutte o quasi le attività. La depressione comporta compromissioni nel lavoro e nello studio, nelle relazioni, nella concentrazione e nel funzionamento somatico (appetito, sonno, desiderio sessuale, etc.).
I sintomi che possono essere presenti sono i seguenti:
- quotidiano umore depresso o disperazione;
- grave riduzione di interesse e piacere in tutte o quasi le attività;
- diminuzione o aumento significativi dell’appetito e del peso corporeo;
- aumento o diminuzione del sonno;
- agitazione o rallentamento;
- perdita di energia, affaticamento;
- sentimenti di inadeguatezza, di colpa, di autosvalutazione;
- incapacità di concentrarsi, di prendere decisioni;
- pensieri di morte e di suicidio.
A volte la persona che soffre di disturbo bipolare può sperimentare solo fasi maniacali o ipomaniacali di euforia o di irritabilità. Se si presentano invece solo fasi depressive senza alcuna fase di eccitamento, la persona soffre di disturbo depressivo maggiore.
Il disturbo bipolare può presentarsi in associazione con i disturbi di personalità, disturbi d’ansia, disturbi del sonno, deliri, abuso di alcol e di sostanze.
Non esiste un’unica causa del disturbo bipolare, anche se è dimostrata la familiarità del disturbo, per cui i fattori genetici giocano un ruolo importante nella vulnerabilità a sviluppare il disturbo. Spesso questa tendenza si manifesta attraverso un temperamento ipertimico, pieno di vitalità ed energia che gli antichi greci chiamavano “sanguigno” o un temperamento irritabile con esplosioni di rabbia sproporzionate alle cause (il “collerico” per gli antichi greci) o ancora, un temperamento ciclotimico con forti oscillazioni dell’umore e dell’energia ed infine un temperamento “melanconico” tendete alla tristezza e al pessimismo. Chi ha un parente, soprattutto un parente prossimo come un genitore o un nonno, che soffre o ha sofferto di questa malattia e/o ha un temperamento sanguigno, collerico o ciclotimico ha una maggiore probabilità di sviluppare il disturbo, ma può anche non ammalarsi mai, perchè i geni costituiscono un importante fattore ma solo di rischio. Altri fattori possono svolgere un ruolo importante, come gli eventi di vita stressanti o successi, il consumo eccessivo di caffè, alcol, droga o altri stimolanti, le gravi irregolarità del sonno, una bassa qualità di vita, alcuni farmaci, e così via. La combinazione tra questi fattori e quelli genetici causa la malattia.
Trattamento
Trattamento psicoterapeutico
Gli obiettivi del trattamento del disturbo bipolare sono la stabilizzazione dell’umore, riducendo la frequenza e la gravità degli episodi maniacali e depressivi, e la prevenzione delle ricadute future. Per raggiungere questi obiettivi è solitamente necessaria un’adeguata cura farmacologica con stabilizzatori dell’umore e antidepressivi, sotto attento e continuativo controllo di un esperto medico-specialista. Le ricerche scientifiche dimostrano che quando il trattamento farmacologico è associato alla psicoterapiacognitivo-comportamentale si ha una maggiore stabilizzazione dell’umore e una più significativa riduzione delle ricadute.
La terapia cognitivo-comportamentale aiuta la personache soffredi disturbo bipolare, e i suoi familiari, innanzitutto a comprendere il disturbo, il suo funzionamento e l’impatto che può avere sulla vita dell’individuo e dei suoi familiari. Fornisce strumenti utili ad affrontare le fasi maniacali e depressive, imparando a riconoscere precocemente i segnali della ricaduta e ad affrontarli efficacemente. Tenere un diario delle proprie emozioni e dei propri comportamenti, per esempio, aiuta la persona ad individuare eventi particolarmente stressanti, le irregolarità del ciclo sonno-veglia o la presenza di comportamenti nocivi quali assunzione di alcol o di stimolanti. Una volta conosciuti i segnali di ricaduta e i comportamenti più rischiosi per la persona, si escogitano appropriate strategie, cosicché i comportamenti nocivi diminuiscano e se compaiono segnali di ricaduta l’individuo li sappia riconoscere precocemente e affrontarli.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale aiuta anche la persona ad essere più costante e motivata nell’assunzione dei farmaci e a trovare strategie più efficaci nell’affrontare le difficoltà quotidiane, come la gestione della rabbia o l’incremento delle abilità di comunicazione e sociali. Oltre a lavorare sugli stili di vita e di comportamento incrementando quelli regolari, la psicoterapia cognitivo-comportamentale lavora anche sugli stili di pensiero cercando di modificare quelli disfunzionali.